Partire dalle parole.
Le parole sono importanti, diceva qualcuno. L’8 marzo è la Giornata Internazionale dei diritti della donna: vogliamo partire dal nome preciso di questa giornata, che però nel linguaggio comune viene definita diversamente e la colloca nella sfera delle festività. Ma l’8 marzo non è una festa. Festa, singolare femminile (lat. fĕsta, propr. femm. dell’agg. festus «festivo, solenne») rimanda a una sfera cerimoniale che però non ha riscontro nelle modalità in cui, almeno finora, è stata vissuta sia a livello istituzionale che popolare.
Il nostro proposito è invece fare in modo che questa giornata sia un punto d’incontro, che apra le porte a un dibattito sullo “stato dell’arte”, una specie di riassunto su quanto raggiunto finora e quanto va modificato in futuro, un’occasione di riflessione su cosa intendiamo quando parliamo di “donna” e di “femminismo”. La Giornata Internazionale della donna avrebbe così l’opportunità di diventare una costruzione di qualcosa, senza i limiti temporali dettati dall’inizio e la fine di una festa.
Abbiamo scelto tre testi (sacrificandone purtroppo moltissimi) altri, che fanno perfettamente il punto della situazione e problematizzano alcune tematiche. La prima di queste è il linguaggio: essendo veicolo di cultura è il primo elemento tramite il quale si trasmettono pensieri e visioni del mondo. Fare attenzione al linguaggio ha sempre un impatto concreto sulla realtà.
Un altro elemento sono i numeri: se non dovesse bastare la percezione di un problema ci si affida alle statistiche per capire l’oggettività di un problema. I numeri hanno sempre un significato, ma bisogna saperli leggere e, soprattutto, avere voglia di farlo e agire conseguentemente.
Infine, è necessario analizzare la cultura economica nella quale viviamo. Questa operazione è forse ardua, ma da molte chiavi di lettura nuove e illumina elementi finora rimasti non problematizzati.
Se riusciamo a unire questi elementi e se il linguaggio cercherà di essere più inclusivo, lo diventerà anche la società, in tutte le sue espressioni. Noi vogliamo partire da qui, proprio dal linguaggio – scritto, in questo caso – per rendere sempre più numerosi i luoghi fisici e virtuali accoglienti per tutti e per ciascuno. Vogliamo partire da un nuovo femminismo per fondare un nuovo umanesimo.
Per tutti i libri che non sono qui nominati ci sono i consigli dei librai!
Michela Murgia, Stai zitta

"Sottovalutare i nomi delle cose è l'errore peggiore di questo nostro tempo, che vive molte tragedie, ma soprattutto quella della semantica, che è una tragedia etica. Sbagliare nome vuol dire sbagliare approccio morale e non capire più la differenza fra il bene che si vorrebbe e il male che si finisce a fare. Viviamo in un mondo che da secoli con le donne continua a ripetere questo errore, che ha conseguenze con le quali facciamo i conti tutti i giorni. La violenza fisica, la differenza di salario, il divario del carico mentale e del lavoro domestico, la discriminazione professionale e mille altri svantaggi sono concretamente misurabili anche quando non sono sempre misurati".
Da molto tempo Michela Murgia si interroga e ci fa notare quali espressioni e usi linguistici sono discriminatori nei confronti delle donne. Dieci frasi che significano molto di più di quello che sembra, dieci modi per sminuire e mettere a tacere le donne, analizzati e ragionati Individuare i significati più o meno nascosti delle parole e delle frasi che pronunciamo ci permette di inquadrare meglio il problema e i significati sottesi, nella speranza che vengano dismesse un giorno perché noi tutti abbiamo cambiato modo di pensare e, quindi, di comportarci.
Caroline Criado Perez, Invisibili

"È importante chiarire sin d'ora che l'assenza di dati di genere non è sempre malevola, e neppure premeditata. Spesso è solo la conseguenza di un modo di pensare che esiste da millenni e che, in un certo senso, è un modo di non pensare. Una duplice inerzia del pensiero, se vogliamo: gli uomini si dànno per scontati, e delle donne non si parla neanche. Perché quando diciamo "umanità", tutto sommato, intendiamo l'insieme degli individui di sesso maschile".
Viviamo in un mondo a misura d'uomo, che trascura in moltissimi aspetti più di metà della popolazione mondiale. Già, perché le donne non sono una minoranza da integrare nella società. Eppure i bagni sono progettati per supplire alle esigenze solo degli uomini, le temperature degli uffici vengono stabilite in base al metabolismo maschile e poco importa se altre moriranno di freddo e addirittura gli smartphone sono stati progettati in base alla misura delle mani degli uomini. L'assenza di dati rende ostile e discriminatorio il mondo in cui viviamo e in questo libro troviamo degli esempi che non ci verrebbero mai in mente: proprio perché le donne sono state fin qui invisibili.
Elisa Cuter, Ripartire dal desiderio

"Non è necessario chiedersi se il capitalismo abbia creato il patriarcato o se se ne sia solo servito, quello che è certo è che ha bisogno del patriarcato, e anche della narrazione del patriarcato, affinché non si costruisca un fronte unitario di classe. Il capitalismo ha consentito l'erosione del modello tradizionale del binarismo di genere solo finché gli ha fatto comodo, ora sembra piuttosto volto a mobilitare e polarizzare i due fronti della misoginia e del femminismo essenzialista".
Cosa ha a che fare il capitalismo con le questioni di genere? Tutto. Da che Marx è Marx! Sì, perché i modelli di produzione economica plasmano le nostre idee, la nostra cultura, la nostra visione del mondo. Se non ce ne accorgiamo è grazie all'astuzia del post-capitalismo, che si infiltra anche laddove crediamo che ci sia invece una resistenza. Con un'intelligenza fine e rarissima la studiosa Elisa Cuter ci mostra come si relazionano questi elementi, in un labirinto di riferimenti pop e accademici, fra una Britney Spears e un Friedrich Nietzsche. Un libro complesso ma consigliatissimo.
|